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Monterosso Almo

Monterosso Almo (Ragusa)

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Monterosso Almo - Monterosso Almo (Ragusa)

Descrizione

Monterosso Almo, Monterosso Almo Ragusa

Il Nome

In età normanna il borgo si chiamava Lupia (o Casal Lupino) per la presenza dei lupi; in età aragonese il suo nome era probabilmente Mons Almo (Monte Almo) o Johalmo. Dal conte Rosso di Messina che lo rifondò nel 1338 prese il nome di Mons Rubens, Monte Rosso.

La Storia

2600-2300 a.C., nella tarda età del rame il luogo è già abitato, come provato dal rinvenimento del sepolcreto di Calaforno, scavato nella roccia e costituito da una successione di camerette: una tipologia che ricorda le domus de janas sarde.
VI sec. a.C., l’esistenza di un villaggio indigeno è testimoniata dalle tombe e dai resti di abitazioni scoperti sulla cima del monte Casasia; con l’arrivo dei greci, i siculi si ritirano all’interno, sui monti, ed è forse questa l’origine di Monterosso.
IV sec. d.C., le fonti citano un villaggio nei luoghi del sepolcreto di Calaforno, che probabilmente viene usato prima come catacombe e poi come abitato rupestre da un gruppo di monaci, come rivelerebbero gli affreschi di tipo bizantino ancora visibili nelle Grotte dei Santi.
1168, il borgo appartiene a Goffredo, figlio del conte normanno Ruggero.
1338, il conte Rosso di Messina fonda Mons Rubens, Monte Rosso, nel luogo sino allora chiamato Lupia dai normanni e Johalmo dagli aragonesi.
1353, il paese entra a far parte della contea di Modica, che nel 1393 passa a Bernardo Cabrera; dai Cabrera, Monterosso passa a Ludovico Perollo nel 1440, ed è ricomprato dagli eredi Cabrera nel 1508.
1693, il paese è totalmente distrutto dal terremoto dell’11 gennaio, che causa 232 morti; viene ricostruito in cima al monte, a differenza del paese vecchio che stava sotto.

Da Vedere

Stop all’abusivismo edilizio, all’avanzata del cemento, all’assenza di piani regolatori: Monterosso Almo imbocca la strada virtuosa della tutela e del restauro, ed è quindi pronto a mostrare al visitatore i suoi gioielli, a partire dalla vasta piazza San Giovanni, finalmente liberata dalle automobili, chiamata in dialetto u chianu, il piano, in rapporto con l’andamento a saliscendi del borgo, che segue le curve della montagna. Un lato della piazza è occupato dalla chiesa di San Giovanni Battista, posta su un terrazzamento naturale e al termine di un’ampia scalinata che le conferisce un aspetto fastoso e scenografico. Opera parziale di Vincenzo Sinatra (1707-1765), architetto attivo nella Sicilia orientale ricostruita dopo il terremoto del 1693, la chiesa – lievemente danneggiata dal sisma – ha una facciata barocca a tre ordini, scandita da un colonnato sul quale s’innesta la torre campanaria. L’interno è impreziosito dagli stucchi di Carmelo Fantauzzo di Grammichele, dalle piccole cappelle laterali e da due opere di artigianato locale, il pulpito di legno intagliato e la vara del santo protettore (1769). Degne di nota sono la statuetta in alabastro della Madonna Assunta (XVI secolo) e la statua in cera della Ma­donna in posizione dormiente, tipica dell’iconografia orientale. Gli altri lati della piazza sono occupati dal secentesco palazzo dei baroni Noto e da tre edifici ottocenteschi e neoclassici: il municipio, palazzo Sardo e il monumentale palazzo Cocuzza. A completare la piazza è la chiesa di Sant’Anna, appartenente ai frati minori riformati che l’inaugurarono nel 1652. L’origine francescana ha fatto sì che il barocco che la riveste fosse semplice e non sfarzoso; di prezioso c’è solo la balaustra di marmo che separa il presbiterio dalla navata. Ai frati apparteneva anche l’attuale circolo di conversazione donato ai cittadini laici, arredato con mobili d’inizio Novecento. Scendendo nella strada principale, Corso Umberto I, e percorrendola tutta, si arriva alla fine del paese, nella zona chiamata “Affacciata”, dove si trova una fontana con ab­beveratoio di forma circolare, al quale si dissetavano gli animali, soprattutto muli e asini, che per secoli hanno accompagnato la vita e il lavoro dei contadini. Da lì la vista spazia sulla valle del fiume Amerillo. Ritornati indietro, da piazza della Rimembranza si sale per via Pagano, verso la parte più alta dell’abitato dove, sui vicoletti pavimentati a basolato, si affacciano le modeste casette dei contadini. Occorre scendere in piazza San Giovanni e proseguire lungo via Roma per vedere, invece, i palazzi signorili appartenuti alle famiglie nobili o alla borghesia terriera, come il barocco palazzo Burgio, dall’elegante prospetto, e l’ottocentesca casa palazzata Ba­rone. Seicentesco è anche il palazzo delle suore Orsoline, mentre appartengono al periodo neoclassico i palazzi Azzaro e Castellino. Dopo un paio di curve si arriva in piazza Sant’Antonio, dove si fronteggiano due chiese. La prima, la chiesa Madre, ricostruita dopo il sisma del 1693, sorge in cima a un’ampia scalinata e si presenta con una facciata neogotica a bugnato che vagamente ricorda l’architettura religiosa dell’Italia centrale. Dell’originaria chiesa duecentesca rimangono solo due acquasantiere (quella dell’ingresso secondario risalirebbe addirittura al V secolo) e, dietro l’altare, un pezzo del pavimento in pietra pece con aquila bianca. Il crocefisso in legno è attribuito al frate Umile da Petralia, francescano formatosi nelle botteghe di intagliatori delle Madonie, attivo a inizio Seicento. La seconda chiesa, dedicata a Sant’Antonio Abate, è stata ricostruita dopo il terremoto del 1693 con una facciata abbellita da un portale tardo barocco ad arco spezzato e coronata da un campanile a vela con tre celle aperte e balaustre in pietra. L’interno a navata unica conserva una grande pala del 1525 di autore ignoto ma forse riconducibile alla scuola di Antonello da Messina, raffigurante il Martirio di San Lorenzo. L’acquasantiera in pietra locale è del XV secolo. La statua della Madonna Addolorata custodita nel baldacchino dell’altare centrale è coeva della chiesa primitiva del XIV secolo. Dalle scale poste sul fianco sinistro della chiesa si scende verso il ponte ad arco medievale che immette all’antico quartiere della Cava, che meglio di altri ha conservato il suo originario aspetto medievale.

Divertimenti

Passeggiate ai siti archeologici, escursioni e trekking nella Valle dei Mulini e sul Monte Casasia. A pochi km da Monterosso, il complesso rupestre delle Grotte dei Santi, nell’area di un cimitero cristiano tardo antico in cui si stabilì un gruppo di monaci, custodisce tombe con affreschi paleocristiani, trasformate col tempo in abitazioni. Altri siti archeologici sono l’ipogeo di Calaforno, un sepolcreto di 35 camerette scavato nel calcare e risalente all’età del rame (2600-2300 a.C.) e il sito di Monte Casasia. Dalla contrada di Calaforno, inserita in un parco grazie a un programma di rimboschimento, si raggiunge una piccola valle, dove una fitta pineta tagliata da ponticelli e un antico mulino ad acqua in parte restaurato, creano un idillio naturalistico. La ricchezza di acque ha creato qui un piccolo paradiso verde, scelto da alcuni registi come scenario per i loro film. Il parco Canalazzi è attrezzato per merende all’aperto. Mulini ad acqua per la molitura del grano operavano nella valle del fiume Amerillo, chiamata per questo Valle dei Mulini. Un’atmosfera agreste d’altri tempi si respira seguendo la vecchia regia trazzera pavimentata a grosse basole di calcare, vicino al fiume che scorre fra pioppi e platani e tra i profumi del timo selvatico, dai cui fiori si ottiene un miele squisito. Panorami intatti si godono dagli 836 metri del monte Casasia – che su un fianco ha pascoli sfruttati da masserie, tra cui quella fortificata di Canalazzi, e in basso il fresco paesaggio, sorprendente per la Sicilia, del lago di Licodia – e dal monte Lauro, il più alto degli Iblei, da cui nasce l’Irminio, il principale fiume della provincia. Sul monte, invece, l’ambiente è arido, dominato dal vento e dai massi vulcanici.

Eventi

Domenica delle Palme,
domenica prima di Pasqua: benedizione delle palme e processione per le strade del paese con un bambino in groppa a un asino, in memoria dell’ingresso di Cristo a Gerusalemme.

Sagra dei Cavatieddi Monterossani,
terzo sabato dopo Pasqua.

Sagra della cicerchia e del cinghiale,
sabato di carnevale.

Sagra dello scaccione,
nel periodo estivo.

Sagra del Pane,
agosto: i vari forni del paese fanno a gara per offrire ai visitatori il pane migliore, da accompagnare con un bicchiere di vino.

Festa di San Giovanni,
prima domenica di settembre: nota dal 1559, la spettacolare festa richiama emigrati e turisti che assistono alle due processioni e ai riti di uscita e rientro nella chiesa di San Giovanni del simulacro del santo portato a spalla sulla “vara” e accompagnato dai fedeli con grossi ceri gialli in mano; la sera, cibo per tutti e fuochi d’artificio.

Festa di Maria Santissima Addolorata,
terza domenica di settembre.

Presepe Vivente,
25 dicembre – 6 gennaio: uno dei più emozionanti presepi viventi della Sicilia, ambientato nei vicoletti del quartiere Matrice, dove sono messi in scena gli antichi mestieri e rivivono odori, rumori, suggestioni dei tempi passati.

Il Piatto del Borgo

Ai cavatieddi, pasta fatta in casa, arrotolata con le dita e condita con sugo, è dedicata una sagra il terzo sabato dopo Pasqua. Seguono nel menu la carne arrostita di cinghiale, agnello o maiale – u farsumauru – e la salsiccia.

Recensioni

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Qualità
6.8/10
Servizi
6.8/10
Dintorni
6.8/10
Accessibilità
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